Culo!

Ma si ma si, basta che la sveglia quel giorno lì non funzioni, è andata via la luce, ti sei scordata di metterla per le 6, basta un ritardo, minimissimo, due, tre secondi e quel giorno lì, a quell’incrocio lì, quello che attraversi ogni giorno, ogni settimana, ogni mese da anni, ecco, basta un ritardino di tre diconsi tre secondi, o un anticipo, sempre di tre secondi, e il camioncino del latte ti sfiora, o ti schiva, o ti centra.
Secondi, quelli che manco ci accorgiamo di perdere insieme alle ore e a volte ai giorni, ai mesi, quando qualcosa ci assorbe tutte le energie e la testa gira sempre sullo stesso solco, in loop, come un cane che si morde la coda.
E così, pensandoci, uno si rende conto che è solo questione di culo, di culo, si, non altro. E’ il tempismo , l’esserci non al momento giusto o al momento giusto, momento che è fatto di secondi, attimi che ti cambiano la vita e che la renderanno tutta un’altra storia rispetto a quella vita che avrebbe potuto essere se tre secondi prima avessi deciso diversamente.
Che poi non si tratta mai di decisioni importanti, non si tratta mai di scelte drammatiche, grosse svolte epocali dell’anima cogitante, macchè, si sconvolge la nostra vita per aver perso tre secondi a guardare una vetrina, per averne persi altri tre a decidere di entrare, altri tre secondi per scegliere i gusti del gelato, fragola, mango, limone…tre secondi…ma no, gianduia, crema e mandorla tostata! e lì, alla mandorla tostata, fai per pagare ma urti  quello appena dietro di te che a sua volta sta scegliendo i gusti e subito subito fa per incazzarsi (ma insomma, attenzione, ma non vede che) e poi vi guardate negli occhi e in tre secondi, forse meno, avete già capito che siete fatti l’uno per l’altra. E non è solo per la mandorla tostata.
O forse si, forse è solo una questione di mandorle tostate.
Poichè il caso, che è il vero padrone della nostra vita, ha scelto così.

Così.

Così stiamo sbagliando tutto? davvero tutto? il caso , il destino alfine, si fa beffe di noi e delle nostre ponderose meditazioni, della nostra faticata maturità, delle nostre sofferte scelte.
Perchè pensare e pensare e pensare ancora come e quale e quanto e chi non conta nulla, alla fine, se si sbaglia il quando.

Che bello scherzo!
E noi che ci illudiamo di esser padroni del nostro agire…noi e il nostro libero arbitrio.

Questione di culo, tutto qua.

Blue

Un ballon medio, blue curaçao, gin, acqua tonica, fettina di lime, ghiaccio in abbondanza.
L’aperitivo è servito. Pop corn di contorno, cani che giocano sullo sfondo.
Le due ore prima di cena, dalle 18 alle 20, happy hours, il tempo migliore della giornata.
Tasso alcolico in crescendo, lingua sciolta e ricordi che si accalcano alla bocca dello stomaco.
O alla bocca del cervello.
Che diavolo, non si parla mai della bocca del cervello!
Quel luogo cavernoso dove spariscono come in un buco nero i pensieri, i ricordi, le sensazioni e le emozioni.
La bocca del cervello, che tutto inghiotte e tutto mangia ricacciandolo fuori solo dopo, nel tempo, sotto forme diverse, sottilmente adulterate, cambiate, rivisitate da madama memoria, smussate dal vigile super-m-io, censore con cesoie affilate, un edward mani di merda che ci cambia i ricordi e la vita…la vita.
Io che ne ho passato già la maggior parte, che’ , diavolo, mica ci arrivo a 100 anni!  io che son qua sul lato in discesa della montagna fatata, che vuoi che faccia di me che manco mi ricordo dove ho parcheggiato l’auto!
Però mi ricordo il sapore dei mango maturati sull’albero e quello nettarino delle banane raccolte dal banano. Non si dice nettarino, lo so, ma rende l’idea.
E poi, cazzo, sarò ben libera di inventarmi  le parole che mi necessitano?
Le parole che rendano l’idea di quel che è l’Africa o la Polinesia, del profumo che hanno gli incensi in India e del rumore che fa il mare quando c’è un uragano.
Mi son persa, il blue fa effetto e mi sembra che sia ora di procedere con il risotto agli asparagi.
Ah, lo sai che poi la piscia puzza da matti , vero? Lo sai che una volta feci un dispetto a …lo sai già? te l’ho già raccontato? ma per davvero? che vecchietta sciagurata che sono !

Tintin di cubetti di ghiaccio ormai sciolti, la fettina di lime giace sul fondo. Siamo alla frutta, cherie, e pensare che sembra ieri tutto quello splendore di antipasti.

Sahara

E’ da un po’ che non vi racconto storie di altri luoghi. Oggi ho nostalgia della mia Terra lontana che a volte mi sembra davvero troppo lontana non certo per una questione di km. Oh, i km, non sono un problema;  occhi che cambiano forma e colore, capelli chiari e lisci, neri e ricci, odori di pesce affumicato,  di tortellini in brodo, laghi di montagna piccoli come un’acquasantiera e fiumi enormi che inondano la piana e la rendono feconda…
No, i km sono bellezza e arricchimento, mentre ciò che allontana gli uomini e li mette gli uni contro gli altri sono le cattive scuole.
Scuole di vita , ammaestramenti le cui radici affondano nei millenni trascorsi e che traggono origine dall’ambiente, dalle necessità  e dalle paure degli uomini.
E la peggior maestra è proprio la paura, quel senso di panico che ci fa sentire minacciati, che ci fa temere per la nostra vita, per la nostra serenità, per i nostri cari.
La paura di ciò che non conosciamo, di ciò che dunque temiamo possa nuocerci. E la paura di ciò che conosciamo benissimo e proprio per questo sappiamo ci farà del male.
O ci soggiogherà.
Dev’essere per quest’ultima paura che gli uomini han sempre temuto le donne. Le donne, con quel loro potere magico di traghettare la vita da un mondo all’altro. Misterioso potere, porta aperta per un attimo sull’infinito, sulla divinità. La magia delle donne, la loro vicinanza con la Dea,  spaventò gli uomini o li rese gelosi e quel che venne in seguito è storia ben conosciuta.
E’ di una donna che osò disubbidire alle regole degli uomini che voglio raccontarvi.
Una beduina,  una donna del deserto.

Un giorno il marito di questa donna viene invitato nella tenda dello sceicco a bere il caffè insieme ad altri membri della tribù.
Ma a lui viene servito in una tazza tutta sbreccata.
Questo, per i beduini, significa che la moglie lo tradisce. Non occorrono parole ne’ spiegazioni. Non vengono fornite prove.
Ora, semplicemente,  quell’uomo è stato informato del tradimento della moglie.
E al beduino cornuto rimangono due sole scelte: avvelenare la moglie o andarsene dalla tribù.
Non esiste memoria di beduini che abbiano abbandonato la tribù per non aver avvelenato la moglie.
L’altro, l’amante, dovrà invece cambiare aria per qualche tempo.

E così la moglie fedifraga viene uccisa con il consenso e l’approvazione di tutto il clan.

Ecco, queste sono le distanze che mi separano dall’Africa, da quel mondo ancora così pieno di condanne a morte  senza possibilità di appello. Non che qui, nel vecchio continente, le cose siano di molto migliori, anzi, per diversi aspetti, siam molto “selvaggi” anche noi ,  prova ne sia la lista senza fine di donne fatte fuori al ritmo di una un giorno si e uno no.
Ma almeno qui la gente, di fronte a una donna ammazzata perchè tradiva il marito, fa la faccia sdegnata di condanna verso l’assassino.
Poi però capita che si senta ancora dire “se l’è andata a cercare”, “se l’è voluta”… cose così che allora mi fanno capire quanto poco, veramente poco distante sia l’Africa.

Nipoti

Da un po’ la vedo svogliata, pensa solo a uscire con le amiche, va a ballare, studia poco. 17 anni , gli ormoni che impazziscono, se poi ci mettiamo che è primavera…

– E se qualcuno che non conosci , una sera in un locale,  ti inviasse al tavolo una bottiglia di champagne e in seguito, dopo averlo conosciuto,  ti confidasse che ti ha scambiata per una entraineuse, tu che faresti?
– Berrei lo champagne, riderei e alla fine mi farei pagare.
– Cazzo, zia, sei sempre un passo avanti a me, io ho solo bevuto e riso molto ah ah ah.
– E’ che non conosci gli uomini, cara.
– Cioè?
– Un uomo ti apprezza per quanto vali, più gli costi più ti apprezzerà.
– Ma…
– Guarda come son rispettate le puttane di alto bordo, vere Signore, generalmente sposate con mariti compiacenti che amano esser fatti becchi.
– Ma che mi dici…
– Certo che se vuoi fare la puttana devi saperlo fare bene, devi averci talento, ambizione e cervello, diversamente è meglio far la brava donna di casa, credi a me.
– Cioè tu dici che le puttane di alto bordo…
– Son creature intelligenti che han fatto del loro corpo una redditizia industria, tutto qua.
– Ma prostituirsi è squallido…
– Squallido è farsi fottere a luce spenta senza godere sperando che si sbrighi in fretta!
– Beh, non è così che fa una puttana?
– Anche la maggior parte delle brave mogli devote…
– Ah ah come sei spietata!
– Spietato è il comune significato che si attribuisce alla parola “rispettabilità” e inoltre le Signore del piacere non spengono mai la luce mentre …lavorano.
– E allora tu perchè non hai fatto quel mestiere lì?
– Perchè ero una romantica sognatrice, una vittima del luogo comune, una cogliona, via!
– Parli da donna ferita…
– Pezzo di pane lei se n’è andata e tu non hai resistito?
– Ahah
– Oh, ma lo vedi come vivo? Circondata dalla bellezza, dalla gioia,  in assoluta libertà sia fisica che mentale e quando la sera vado a letto son serena e quando mi sveglio sorrido al nuovo giorno che so già sarà sereno come il precedente e il successivo.
Non solo; non temo mai per la mia incolumità fisica,  che’ di questi tempi c’è da guardarsi più dai conviventi che dai serial killer. Ti pare poco?
– Eh, effettivamente non è male eh…ma l’amore…
– L’amore? Ti pare forse che la mia vita difetti di amore? Sono circondata dall’amore, basta che io guardi i miei cani quando dormono per vedere amore, basta passeggiare nel mio giardino per vedere amore, basta parlare con i miei amici cari per sentire amore.
– Eh ma io dicevo un uomo…
– Oh, si, si,  tu intendi quello di un compagno…quello stesso compagno che un bel giorno magari ti fa a fette, o quello stesso uomo che la sera ti russa nelle orecchie senza manco sapere se ci sei. Quell’uomo che vedi poco perchè ha così tanto da lavorare e poi un giorno,  mentre gli lavi le mutande, ci trovi sopra il rossetto di qualcuna che di sicuro non sei tu.
Quell’uomo che non solo non ti aiuta a pulir per casa ma sporca dappertutto continuamente.  Quell’uomo che la mattina scorreggia divertito sotto le coperte e che non si taglia mai  le unghie dei piedi e le rare volte che ti monta ti graffia pure.
– Dai zia…
– Ah, scusa,  forse tu parlavi del principe azzurro, quello sempre bellino anche a 70 anni , muscoloso e profumato che non possiede un apparato digerente e men che meno uno sfintere anale, quello graniticamente gentile, accorto e rispettoso e voglioso di te  benchè tu sia diventata grossa come un otre,  le borse sotto gli occhi sembrino due mongolfiere per puffi e come massimo del sexy  indossi le espadrillas ortopediche?
– Beh…
– Beh che? Le favole son favole e la realtà è la realtà, meglio prenderne atto in fretta.
– E allora che dovrei fare scusa? Io non voglio fare la puttana di alto bordo!
– E allora tirati su le maniche come ho fatto io e studia, figliola, studia.

Sangria

Estate, quasi. Ora dell’aperitivo. In campagna, qua nella bassa, con il Po’ che pian piano invade la golena e i cani che han già cenato. Giornata fredda ma limpida, nubi sudamericane che si rotolano nel cielo come giganteschi fiocchi di cotone sospinti dal vento.
Il lago in giardino è stazionario, la Terra è troppo inzuppata d’acqua e non ne riceve più.
Sangria.
Sangria?
Sangria!
Cubetti di ghiaccio, arance e mele in tocchetti, cannella, vino rosso e un po’ di zucchero. Ci vorrebbe una paella adesso. Di quelle nei padelloni che ti servono fumanti in riva al mare a Formentera.

Ibiza, interno dell’isola. Casa di amici in collina, odore di pesce che sfrigola con aglio e pomodoro, spezie, peperoncino. Macchine fotografiche, fiche, macchine. Fotografi e modelle da tutta Europa e dalla Russia.
Io preparo la sangria, affetto arance, pesche, mele. Cubetti di melone e anguria.

Lui entra e mi fa una foto, una polaroid. Va di gran moda la polaroid fra i fotografi dell’avanguardia. Come la Holga. Altrimenti si usa la vecchia Hasselblad. Sputi concordi dei più sul digitale che sta nascendo.

Lui mi ha invitato, lui mi sta provocando. Lei lo sa, lo annusa nell’aria, lo deve odiare per questo ma non lo da’ a vedere però non lo molla un attimo.
Dopo un secondo , infatti, entra anche lei, prende un cubetto di anguria, se lo strofina sulle labbra, lo succhia guardandomi dritta negli occhi.
Mi piace.

Son venuta per lui ma adesso che son qui, che l’ho visto con lei, con i  figli, in questa casa finto bohémien dove tutto sembra messo lì per caso e per caso, invece, ci son solo io, adesso che ho visto mi interessa meno, mi attizza meno.
Però mi piace il gioco, mi piace la sfida. E mi piace lei. La moglie.

Entrano anche gli altri, gente che fa casino, ride, beve, mangia, fotografa, si fa fotografare.
Mi siedo sul grande tavolo di legno in mezzo ad angurie tagliate a metà e grosse trecce di cipolle, alzo la gonna , rido, lui mi divora con gli occhi mentre lei si appoggia al muro e mi fissa come se mi volesse uccidere. O scopare. Non so.

Io la guardo  appena come fanno gli innamorati timidi, ignoro lui, scendo dal tavolo ed esco sul prato.
Fuori fa fresco, la sera nelle isole c’è sempre vento e vorrei qualcosa per coprirmi.
Lui.

Ci ha messo un minuto per raggiungermi, mi prende per mano e mi trascina via, fin nel suo studio dall’altra parte del grande prato ,  mi fa sedere su uno sgabello contro un muro azzurro scrostato, accende le luci,  prende la sua Hassel preferita e comincia a fotografarmi.

– Stai ferma, girati un po’, di meno, piegati in avanti, spingi in fuori il sedere, così, brava, sei bella, sei bellissima, togliti la maglia, fammi vedere , si, così…

Scatta e scatta e si eccita e lo si vede benissimo con quei pantaloni leggeri leggeri di cotonina a righe. Salta come un grillo qua e là, mi vuole vedere da ogni lato, vuole un ricordo, forse, di questo incontro strano nato da uno scambio di commenti in rete.

Le mie foto e le sue foto a confronto, lui un purista, io una taroccatrice professionista.
Una guerra. E, come spesso accade, dalla guerra si scivola in un letto.
E così lui mi invita a Ibiza, a casa sua, con la scusa di un meeting di fotografi internazionali, ti organizzo un workshop di fotoritocco, mi ha detto, e io ci vado perchè mi ha davvero incuriosita troppo.

E poi  è bello e macho e biondo e non pensavo che ci fosse anche la moglie. E invece c’è. Stronzo!

A proposito , mi domando come mai lei non sia ancora arrivata. Mi domando come mai lui sfidi così la fortuna con quel cazzo duro sotto i calzoni che si vede lontano un kilometro.

Ma lei non arriva e lui ha finito il rullino , posa la macchina fotografica e si avvicina, mi sfiora il viso con un dito, me lo infila appena in bocca, glielo succhio leggermente, lui chiude gli occhi e mi mette una mano fra le gambe.

Mi bacia, o almeno ci prova, mi lava la faccia è più corretto, poi si inginocchia , alza la gonna e si tuffa giù. Mi ha già infradiciato le mutandine quando entra lei che rimane di sasso, stop ai giochi. Lui balbetta qualche cosa in tedesco, lei sembra una statua di ghiaccio.

E’ furiosa. Ed è bellissima.
Le vado vicino, lei mi guarda feroce.
Io tento di baciarla.
Lei mi respinge dicendo cose suppongo cattivissime.
Io insisto, lei mi da’ uno schiaffo, glielo rendo.
A quel punto penso che mi voglia uccidere e invece le scappa un mezzo sorriso. Allora le prendo i capelli, le tiro indietro la testa , le mordo il collo e lei mi lascia fare.
Di quel che è accaduto in seguito non ho voglia di parlare ma ricordo che non fu un granchè.

Buona domenica

– Buongiorno Dave!
– Buongiorno Sarah!
– Dormito bene caro?
– Deliziosamente cara!
– Sto pensando che potrei anche toglierti il plug, in fondo è domenica.
– Te ne sarei estremamente grato, cara.

Sarah si tira su dal letto, sbadiglia, poi scende appoggiando i piedini sui genitali di Dave che se ne sta steso a mo’ di tappetino.
– Grazie Sarah!
– Prego Dave!

Poi si china sull’uomo legato mani e caviglie con una grossa corda di canapa grezza, lo gira, lo osserva.
– Sembri un po’ provato caro…
– Leggermente, si…

Ride, Sarah, poi si rialza e si incammina verso il bagno.
– Ma…cara…il plug…avevi detto…
– Avevo detto, si, ma ora ho cose più urgenti da fare.
– …

Quando esce dal bagno, Sarah è perfettamente truccata  e il suo profumo stordisce quasi Dave che respira un po’ affannosamente.

– Caro, non vorrei che tu appestassi la casa con qualche sgradevole odore. Ora ti libero ma  te ne devi andare subito  in giardino a fare i tuoi bisognini.
– Si, cara, si, ti prego…

Sarah lo slega ma non gli toglie il plug e fa bene perchè Dave non riesce ad alzarsi, ha gambe e braccia intorpidite e si contorce come un grosso verme senza riuscire a smuovesi di un sol passo.

– Oh, cielo, ti comporti come un celenterato ! Quando avrai la compiacenza di finirla, potrò toglierti quel benedetto plug e andare finalmente a far colazione!
– Ma io…io…ahhh…uuuuuh…

Finalmente Dave riesce a mettersi in ginocchio.
Sarah lo fa chinare in avanti, come un cagnetto, e rapidissima gli sfila il plug e gli da’ un poderoso calcio nel culo, segnale di partenza per Dave che, gattonando all’impazzata, sparisce in breve nel giardino.

Quando ricompare è già trascorsa un’ora.
Sarah è seduta al tavolino della colazione e aspetta leggendo il giornale.
Dave si inginocchia ai suoi piedi, li bacia, ringrazia e va a prepararle la colazione.

– Spero tu ti sia lavato più che scrupolosamente le mani, vero caro?
– E’ fuori di ogni dubbio, Sarah.

E invece no, Dave non si è lavato le mani ma non solo, la cremina al cioccolato che ricopre il muffin di Sarah non è completamente di cioccolato.

– Buonissimo questo muffin, mio caro cagnetto, la trovata della cremina è geniale!
– Grazie Sarah, speravo proprio ti sarebbe piaciuto.
– Bella giornata, pare, ho letto il meteo e il tempo sembra stabile.
– Speriamo, si, non se ne può più di questa pioggia.

Cara G.

Cara G,

oggi, casualmente, mi son trovata a rileggere un po’ della nostra vecchia corrispondenza e ti ho stramaledetto.
Ti ho stramaledetto perchè mi hai tolto un divertimento sottile per poi ridarmelo e di nuovo sottrarmelo.
Vedi G., puttana che non sei altro, tu sei una di quelle rare persone con cui io riuscivo a ridere. Una l’avevo sposata una vita fa e dopo otto anni trascorsi a ridere non ne potevo più.
E’ che il troppo stroppia, vero G.? Ma tu avresti detto: est modus in rebus, perchè ti piace far vedere che sei colta e come puoi tiri fuori l’Eone Supremo e  Chomolangma, fai un po’ di slalom fra due cazzate di neuroestetica e la signorina Lambercier per finire in scivolata su   “Spirit and nature” di Schrodinger e Jung passando per   “Autopoiesi e cognizione” di Maturana e Varela.

Troia! Questo sei! Una troia colta ma pur sempre una grandissima e fottutissima troia !

E forse questo a molti potrà sembrare un merito mentre per me era indifferente.
A me faceva ridere la trama delle tue pippe, le seghine del sabato mattina dove io impersonavo la Cosacca senza cuore che ti faceva sodomizzare dai suoi fidi mujiki.
Oppure ero la deessa della tribu africana che ti rosolava il pipino sul pentolone dopo averti fatto scartavetrare le chiappe da 30 boscimani in calore  naturalmente superdotati.

Ho riso molto, mia cara G., e quel che non ti potrò mai perdonare è l’avermi sottratto, per la seconda volta, il mio divertissement quotidiano.

Perchè una volta passi, G., in fondo, allora,  non ci eravamo scambiate che qualche mail e qualche telefonata, eppure tanto ti era bastato per stabilire che io fossi la tua divina Padrona e il terrore che io ti lasciassi un giorno ti terrorizzò al punto da farti scegliere la fuga.

Ah ah ah, vile canaglia! Falsa come un dollaro di Paperopoli!

Scommetto che in realtà fuggisti solo per i begli occhi e l’ancor più bel cazzo della tua amichetta frescona, discepola infelice della scrittrice di haiku moderni. Bel terzetto, non c’è che dire.

Oh si si, perchè parlare e parlare e spingere l’intelletto fin dentro e oltre le stelle rende le notti meno buie, le speranze meno vane poichè, oh si! oh si ! la Foemina perfecta al fine esiste… sed coitus foeminae cum foemina et masculi cum masculo perfecta est!

E tu, villanella degli Urali, vestita con balze di broccato e sandaletti rosa, nascondevi dunque l’erezione fra i merletti mentre immaginavi me, tua Madonna, brandire un glorioso dildo che ti deflorava  il già più che deflorato orifizio.

Troia!
L’ho già detto?
E chissenefrega, lo ripeto, troia maledetta troia!
Vile troia dei bassifondi, per cui a nulla vale la conoscenza e la cultura se paragonate a un cazzo duro che ti sfonda il culo.
E vorresti esser donna?
Tu?
Che ridere!
Ebbene si! che ridere! perchè con te ho davvero riso tanto, maledetta.

Ed oggi che di nuovo sei sparita, togliendomi ancora una volta  il mio piacere, oggi che  non so se sei in rianimazione in qualche ospedale incapace persino di scrivere un sms, oppure, semplicemente, sei sparita di nuovo come la volta scorsa per motivi che io non voglio capire benchè , baldraccona maledetta,  capisca anche troppo bene, spero comunque per te che tu non sia morta o ferita grave.
Ma, se invece stai bene, se non sei morta o ferita grave,  spero che tu sia morta o ferita grave.

Notte di luna piena

La porta si aprì  andando a sbattere fragorosamente contro il muro e lui venne come risucchiato da una corrente gelida che lo trasportò fuori nel buio del bosco.
Una forza invisibile, ma non per questo meno poderosa, lo sospingeva ad inoltrarsi nel fitto intrico di rami e foglie ancora bagnati dopo la tempesta del giorno precedente.

Odori.
Odori di muschio, erba tagliata, spezzata, calpestata,  fiori chini verso terra imbevuti di pioggia, fango e putridume legnoso, vermi e lombrichi, carcasse di rettili e piccoli roditori.

Rumori.
Fruscii, soffiare di vento fra le foglie, scricchiolii, schioccare di rami spezzati sotto i suoi passi incerti, scivolare di animali striscianti e ovattati passi di conigli e volpi grigie.

Colori.
Nero, e poi nero blu, blu di acqua e luce riflessa della Luna, goccioline argento , sfumature arancio di legname secco,  rosso di bacche mature e , sopra e sotto a  tutto,  il verde invadente,  oscuro e soffice del muschio e delle foglie misericordiose.

Avanzò fino alla piccola radura che si apriva come un foro di proiettile nel ventre della foresta e quando vi fu al centro, si stese in terra a guardar le stelle.

Notte di Luna piena.

Qualcosa si mosse nel folto intrico del bosco e alle sue narici pervenne un odore selvatico di carne spaventata.
E fu come il segnale che attendeva da anni. Si tirò su, si girò pancia in sotto, si mise in punta, immobile, silenzioso.
L’odore gli arrivava adesso più definito. Limone, sandalo, cannella, un accenno di sale e di spezia sconosciuta, piccante forse, e poi un fiore, fiore di mandorlo.
Doveva trattarsi di una femmina, sicuramente giovane perchè nessuna femmina esperta di aggira di notte nei boschi.
Aspirò forte e lei gli entrò fin dentro al cuore. E tanto bastò perchè i suoi peli si rizzassero forti come aculei, le sue unghie si facessero aguzze e affilate come lame giapponesi e la sua bocca iniziasse a salivare, sbavando.

Mosse il primo passo in avanti verso la preda. Poi un secondo e un terzo e via così finchè non le fu alle spalle .
Lei non fece neanche in tempo a vederlo in faccia che già il suo cuore le era stato strappato dal petto.
Lui la morse ovunque, le strappò braccia e gambe, bevve tutto il suo sangue e si cibò del suo ventre e alla fine del pasto si sentì bene come non mai e allora gridò, gridò così forte che lo sentirono fin nel paese e diverse luci si accesero nelle casette addormentate.

– Un lupo mannaro, secondo me, disse Jack, ridacchiando, a sua moglie Tracy che si era spaventata per quel verso disumano.
– Ma quanto sei stupido! rise lei dandogli un buffetto sulla spalla.
Poi spense la luce ed entrambi ripresero a dormire.

Il panico e la paura

Quando arrivava sotto casa, parcheggiava la macchina e rimaneva lì, ferma, a pensare che no, non ci voleva andare di sopra, in quella casa che era la sua casa.

Diceva a se stessa: non ci vado, non ci vado, non ci vado e invece, dopo mezz’ora, scendeva dalla macchina e iniziava a  salire i gradini, su fino al terzo piano e si fermava ancora un po’ fuori, sul pianerottolo, finchè qualcuno non passava per le scale e allora lei apriva velocemente la porta ed entrava.
Ma non chiudeva la porta, la lasciava, anzi, spalancata e si dirigeva veloce in cucina che per fortuna era la prima stanza a destra dell’ingresso.

Apriva un cassetto e tirava fuori un grosso coltello e così armata iniziava l’ispezione.
Guardava dietro ogni porta, sotto il letto, negli armadi e dietro le tende e quando era sicura che non vi fosse nascosto nessuno , richiudeva la porta d’ingresso con tutte le serrature e i catenacci che aveva fatto mettere e si calmava.

A quel punto si andava a spogliare per fare la doccia ma prima si struccava, un occhio alla volta, perchè le volte che li aveva chiusi entrambi la sua testa aveva iniziato a pensare che alle sue spalle ci fosse qualcuno che la stava per assalire e la paura diventava così forte che a lei sembrava proprio che quel qualcuno fosse lì e così apriva gli occhi ; ma gli occhi erano insaponati e il sapone le finiva dentro e le bruciava da morire e le lacrime le impedivano di vedere chi ci fosse alle sue spalle e il panico la prendeva forte, fortissimo, terribile e assoluto.

Finito di lavarsi, iniziava a far qualcosa in casa ma l’unica cosa che non poteva fare era dormire, anche se era stanchissima. E non poteva dormire perchè nel sonno qualcuno avrebbe potuto forzare la porta e avrebbe potuto entrare.

Qualche volta le prendevano strani malesseri in cui sentiva restringersi  la sua cassa toracica, avvertiva  una morsa che le stringeva il collo,  il fiato le si faceva corto come se nella stanza mancasse l’aria e così si precipitava ad aprire le finestre e rimaneva lì, con la testa fuori, a respirare affannosamente.  Questi attacchi duravano alcuni minuti anche se a lei sembravano eterni  e dopo si sentiva stanchissima ma non poteva riposarsi, non poteva chiudere gli occhi.

Non poteva perdere il controllo.

Così non le rimaneva altro da fare che aspettare il ritorno di suo marito che almeno l’avrebbe fatta ridere e dimenticare per qualche ora la sua paura.

A proposito di sogni infranti

Piove, governo ladro, e le zanzare pullulano.
Possibile che nessuno ci avverta del fatto che la Terra ruota storta e adesso qua in Emilia siamo come a Sainte Marie (Madagascar) con tanto di cicloni annessi?

Dicevo dunque: piove!
E quando piove a me prende una sorta di introspettitività compulsiva che mi obbliga a riflettere sui cazzi miei e a trarne illuminate – più o meno-  conclusioni.

I sogni infranti, si diceva.
Chi non ne ha.
Ma penso che in pochi, per fortuna, possano battere il record di mia madre.

E a questo punto dovrebbe partire la cronistoria della triste esistenza, il marito autoritario, il periodo storico sfavorevole, la famiglia conservatrice, l’incapacità di ribellione, l’impossibilità di spiccare il volo e bla bla bla.
In poche parole: una vita chiusa a chiave dentro la depressione.
E, come se non bastasse, l’Alzheimer a chiudere definitivamente il cerchio.

Ora mia madre vive in un mondo che non esiste se non nella sua immaginazione (e chi può dire che non sia così anche per noi…); un mondo, purtroppo,  fatto di paura, di ansia, di angoscia terribile.

Lei, che vive tuttora a casa sua con mio padre,  non la riconosce ed è quindi sempre alla ricerca di un modo ,  un mezzo o qualcuno che la riporti a casa. Lei però non sa dove sia casa sua, non riconosce nessun luogo e non riconosce le persone che le stanno intorno.
Lei sa solo che lì non è casa sua e che non sa come fare a tornarci.

A volte piange disperata e dice che vuole morire, a volte si incattivisce perchè nessuno la porta a casa, molto spesso chiede di telefonare a sua madre (che ovviamente è morta da anni) perchè la venga a prendere.
Tragedia nella tragedia, lei dice che “sa” che sua madre non la vuole, non l’ha mai voluta, l’ha sempre disprezzata.
E così si lascia cadere su un divano e chiede se può rimanere almeno a dormire, dice che non disturberà e così si tranquillizza per dieci minuti.
Ma subito dopo ricomincia tutto da capo.

Ho sotto gli occhi le sue foto di quando era ragazza, bellissima, sorridente, amava ballare.
Poi si è sposata e ha smesso di sorridere e di ballare.
Si è spenta, si è annullata. Ha abbandonato il suo piacere in nome della famiglia.
Qualche anno fa, quando ancora era consapevole di quello che faceva e diceva, mi disse:
– Sai, al mondo non c’è più niente che mi piaccia.

Niente al mondo che le piacesse. Che disperazione! Che vita sprecata, che enorme occasione mancata…
E non mi sorprende per niente che il suo cervello si sia “assentato”; era tutto così prevedibile, alla fine.

Io le auguro dunque di morire presto  perchè,  per quanto assoluta e spaventosa possa sembrare ai vivi, la morte, per lei,  non sarà mai  terribile quanto questa terrificante non-vita.